Progetti di Comunità

Progetti di Comunità nuovi modelli di pianificazione e gestione sostenibile del territorio: Contratti di Fiume, Green Community e Comunità energetiche rinnovabili

A cura di: Massimo Bastiani, Virna Venerucci, Paola Rizzuto

Per comunità, in termini sociologici, si considera l’insieme di individui che condividono e si riconoscono in caratteristiche e valori comuni. Valori che nella sociologia contemporanea, assumono un’accezione localistica e che possono essere interpretati alla luce di un paradigma reticolare.

Da un punto di vista della pianificazione urbanistica, una comunità locale può divenire un elemento determinante per il governo delle scelte strategiche complesse, della loro territorializzazione e messa a terra a scala locale. Un tale processo, per attuarsi, necessita del riconoscimento delle comunità locali non solo come soggetto attuatore ma anche come soggetto co-decisore attraverso l’adozione di forme partecipative. Questo concetto è richiamato anche dal Trattato di Lisbona[1] che enuncia i tre principi fondamentali dell’uguaglianza democratica, della democrazia rappresentativa e della democrazia partecipativa. Quest’ultima, grazie al Trattato assume una forma nuova, quella di un’iniziativa dei cittadini.

Nel post pandemia da Covid19, la stessa ripresa europea trova nella valorizzazione delle comunità un punto di ripartenza essenziale. «La lezione che dobbiamo trarre dalla pandemia di Covid-19 è che la coesione non è solo una questione di denaro: è un valore che guida la crescita e economica sostenibile, crea opportunità di lavoro a lungo termine per tutti e attua politiche basate sul territorio che rispondono alle esigenze dei cittadini»[2].

A tal fine l’Europa articola la politica di coesione[3] 2021-2027 in 5 Obiettivi strategici di policy (per un’Europa più intelligente; più verde; più connessa; più sociale e inclusiva; più vicina ai cittadini), che evidenziano la necessità di un legame stretto tra la dimensione strategica e il coinvolgimento diretto delle comunità. Dal punto di vista ambientale e territoriale tale connessione appare evidente se si analizzano l’Obiettivo Obiettivo strategico di Policy 2 (OP2) – Un’Europa più verde e l’Obiettivo strategico di Policy 5 (OP5) – Un’Europa più vicina ai cittadini. L’insieme di questi due obiettivi sembra delineare in maniera molto chiara come una transizione ecologica per attuarsi necessiti di una transizione sociale che la sostenga.

L’OP5 individua soluzioni di sviluppo sentite proprie dagli attori e partenariati locali attraverso Strategie territoriali locali (ST). Si tratta di un obiettivo politico territoriale trasversale per lo sviluppo integrato e sostenibile delle aree urbane e di altri territori, per affrontare le diverse e interconnesse necessità e sfide territoriali e locali che rispondono alle esigenze dei cittadini. La realizzazione di questo obiettivo necessita di un approccio integrato, di strategie territoriali e locali da definirsi attraverso la partecipazione, della capacità di individuazione di apposite progettualità che rispondano a bisogni e potenzialità presenti sul territorio e di partenariati pubblico-privati. Tali principi sono presenti anche nello strumento finanziario europeo Next Generation EU, meglio noto in Italia con i nomi informali di Recovery Fund o Recovery Plan, si tratta di un fondo dal valore di 750 miliardi di euro approvato nel luglio del 2020 dal Consiglio europeo al fine di sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia di COVID-19. A livello di territori questa sfida si traduce nella necessità di generare alleanze e patti di comunità incentrati sulla generazione e ri-generazione delle competenze e delle conoscenze. In questo contesto si inserisce Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), lo strumento che traccia gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia intende realizzare grazie all’utilizzo dei fondi europei di Next Generation EU.

I Progetti di comunità analizzati in questa prima ricognizione sono i Contratti di Fiume, le Green Community e le Comunità Energetiche Rinnovabili. Essi trovano collocazione anche nel PNRR e nella politica di coesione nazionale, attraverso l’Accordo di partenariato.[4] Questa condizione consente di guardare allo sviluppo di questi strumenti anche in una prospettive di lungo termine attraverso il supporto delle politiche pubbliche. Una ulteriore sfida che questa nuova tipologia di progetti socio-territoriali sta ponendo, riguarda certamente il rapporto con la disciplina urbanistica “la disciplina urbanistica occupa tradizionalmente uno spazio mutante, dotato di una carica simbolica non trascurabile anche se di incerta definizione, che risulta perennemente alla ricerca di una soddisfacente collocazione tra i territori della competenza professionale e quelli della rappresentanza democratica”[5].

Si delinea cioè un nuovo fronte di iniziative che all’interno di macro-obiettivi di matrice ambientale si propongono, attraverso forme partecipative, di contribuire alle decisioni e alla gestione dei territori.

1. Contratti di Fiume

Nella dizione Contratto di Fiume si associano una figura giuridica, contenuta nella parola «contratto» e un termine mutuato dalla milieu naturel che richiama la descrizione dell’acqua in movimento, un fiume[6]. Un Contratto di Fiume (generalmente ci si riferisce al Contratto di Fiume (CdF), ma anche di lago, di costa o di acque sotterranee, area umida…) è un accordo tecnico e finanziario tra i partner pubblici e privati interessati per una gestione globale, concertata e sostenibile su scala di un’unità idrografica coerente.

I Contratti di Fiume[7] si inseriscono nella categoria degli accordi negoziali e rientrano nella cornice dei vari fenomeni di natura contrattuale e/o consensuale cui può far ricorso la P.A., confermando la tendenza del legislatore a favorire la semplificazione dell’attività amministrativa attraverso strumenti idonei a snellire le procedure, velocizzando l’azione amministrativa, sia in fase istruttoria che decisoria.[8]

L’aspetto contrattuale richiama le diverse forme di amministrazione concertata, a cui dagli anni ’80-’90 si è inteso far sempre maggiore ricorso, al fine di potenziare l’efficienza e l’efficacia dell’azione di governo dell’ente pubblico. Si tratta di nuove forme di governo del territorio che rispondono alla sempre più ampia presa di coscienza dei risultati limitati che si ottengono, quando le scelte sono scisse dalla condivisione delle comunità locali, in una parola quelli che possiamo definire processi decisionali partecipati ed inclusivi.

L’amministrazione condivisa, di cui il Contratto di Fiume è un chiaro esempio, punta sulla semplificazione dell’azione amministrativa e sulla partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo.[9]Il criterio partecipativo, come scelta prioritaria rispetto al sistema classico del comando e controllo, favorisce la convergenza degli interessi individuali verso quelli collettivi. Il punto di forza di tali accordi è la volontarietà assieme alla valorizzazione dei principi di sussidiarietà orizzontale e verticale che consentono di promuovere una governance locale integrata

Il Contratto di Fiume è dunque ascrivibile tra gli strumenti di programmazione strategica negoziata, poiché consente attraverso la sua valenza pattizia e territoriale, di raggiungere un’integrazione contemporaneamente «orizzontale e verticale» tra interessi, programmi e piani. Questa integrazione è resa possibile grazie all’attuazione di un processo di cooperazione partecipativa che si basa su un’attenzione costante ai punti di vista e alle esigenze di tutte le parti interessate. L’accordo, palesato attraverso un Contratto di Fiume, per essere rappresentativo degli interessi in gioco, deve infatti garantire un equilibrio tra i molteplici usi dei fiumi e il raggiungimento di obiettivi che appartengono a tutti, come la qualità ambientale, paesaggistica, il diritto alla salute e alla sicurezza. Il Contratto di Fiume esplica questo processo attraverso l’adozione di «un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale»[10]. Un contratto è ovviamente inattuabile se non prevede la piena condivisione dei suoi fini e il comune impegno a cooperare tra le parti[11].

I Contratti di Fiume in Europa si sono sviluppati, a partire dalla Francia nei primi anni ’80 per poi diffondersi in pochi anni in molte altre nazioni come il Belgio, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Spagna e l’Italia, in molti casi sotto forma di processi transfrontalieri che interessavano più territori. È interessante notare come nelle fasi immediatamente precedenti alla diffusione di questi processi, sia in Francia che in Belgio, l’educazione ambientale e l’innalzamento della consapevolezza delle comunità locali verso le problematiche fluviali abbiano giocato un ruolo fondamentale al fine di mobilitare le risorse locali e migliorare il processo decisionale.

I Contratti francesi richiamano gli accordi ambientali a carattere volontario non aventi natura vincolante e si basano su un livello di concertazione tra enti e tra livelli di pianificazione/programmazione molto forte e su un coinvolgimento delle comunità locali principalmente legato alle fasi informativa e consultiva. Attualmente in Francia si registrano 294 Contratti di cui 30 transfrontalieri, nel complesso 221 sono attuati, 49 sottoscritti e in corso di attuazione, 11 in corso di elaborazione, 2 in avvio e 11 sono stati abbandonati (Gest’Eeau, 2022).

In Belgio e in particolare nella regione della Vallonia l’aspetto concertativo e l’estensione del coinvolgimento dei soggetti non istituzionali sono affrontati con maggior convinzione. Questo aspetto è rintracciabile in un sostanziale bilanciamento tra le tipologie di promotori dei contratti stessi. Accanto ai Comuni si trovano infatti altrettante associazioni o reti di associazioni ambientaliste, culturali e sportive.

Ulteriori esperienze interessanti si sono sviluppate anche al di fuori dell’ambito europeo, come ad esempio in Canada (2002), Burkina Faso (2004), Moldavia (2016). In Canada i CdF hanno trovato particolare diffusione in Quebec dove sono stati adottati come strumenti volontari e partecipati per l’attuazione dei Plans Directeus de l’Eau e si distinguono per l’approccio cd. “territoriale“. Si presentano qui come uno strumento operativo della Politique Nationale de l’Eau du Quebec (PDE), agiscono attraverso il coinvolgimento degli attori socio-economici per la costruzione di un progetto locale: «poichè gli attori economici sono in grado di generare progetti e i progetti sono in grado di generare contratti» (Brun e Lasserre 2006). Teoricamente secondo il modello canadese questo sta a significare che in uno stesso bacino potrebbero insistere più contratti nell’ambito di una unica regia di area vasta (Choquette et al. 2006) in questo senso si può quindi parlare di «Contratto di Contratti» (M. Bastiani 2016). Tale impostazione metodologica è diventata di riferimento, per la costruzione del modello concettuale del Contratto di Foce Delta del Po(2016)e più recentemente per il Patto per l’Arno (2021). In quest’ultimo caso si tratta di un Contratto dei Contratti coordinato dalla AdBD Appennino Orientale e relativamente ai tre tratti/CdF alto, medio, basso Arno dai Consorzi di Bonifica.

La diffusione dei Contratti di Fiume in Italia si avvia nei primi anni del 2000, in alcune regioni del nord, tra le quali spiccano la Lombardia e il Piemonte. A dare un contributo decisivo alla diffusione dei Contratti di Fiume è stata la nascita nel 2007 del Tavolo Nazionale dei Contratti di Fiume (TNCdF).  Fin dall’inizio il Tavolo si è fatto promotore di un movimento a scala nazionale ed è riuscito a mettere insieme Ministeri, Regioni, Comuni, esperti, professionisti, stakeholder territoriali, associazioni e cittadini agendo anche sul piano del cambiamento culturale. Riportare l’interesse sulle acque, coinvolgendo migliaia di comunità locali su questi temi è stata certamente un’azione rilevante per tutto il Paese. Nel 2010 il Tavolo ha redatto il primo documento d’indirizzo: la “Carta Nazionale dei Contratti di Fiume”, presentata in occasione del V° incontro nazionale tenutosi a Milano, presso la Regione Lombardia adottata dalle regioni italiane.

Dal 2015 il Tavolo ha contribuito alla legittimazione legislativa dei Contratti di Fiume con l’inserimento nel Testo Unico Ambientale D.Lgs 152 del 2006 dell’articolo 68 bis. Con questo articolo si mettono in evidenza le finalità dei CdF italiani, focalizzandosi sul concetto di volontarietà suddetto che conferisce al testo un valore etico, acquisendo con la libera scelta la condizione essenziale di un agire consapevole e responsabile. Nello stesso anno, in continuità con le finalità l’articolo di legge, un gruppo di lavoro del Tavolo Nazionale, coordinato con il Ministero dell’Ambiente e ISPRA, produce il documento «Definizioni e Requisiti Qualitativi di Base dei Contratti di Fiume»[12] con l’intento di armonizzare a scala nazionale le fasi e l’approccio. Nel 2018 considerata la notevole diffusione dei CdF sul territorio nazionale, il MATTM ha quindi istituito, con D.M. del 8 marzo 2018, n. 77, l’Osservatorio Nazionale dei Contratti di Fiume (ONCdF), con lo scopo di monitorare la diffusione ed evoluzione di tali processi, oltre che di mettere in connessione le varie esperienze, fornire un punto di riferimento nazionale e svolgere funzioni di indirizzo e coordinamento per l’armonizzazione della loro applicazione.

Allo stato attuale tutti i Piani di Gestione, elaborati dalle Autorità di bacino distrettuale (AdBD) e la maggior parte delle Regioni e Province autonome, hanno legiferato in materia di CdF o li hanno inseriti negli strumenti di programmazione e pianificazione (ad esempio Piani di Tutela delle Acque, Piani del Paesaggio, Piani di Assetto Territoriale). I Contratti di Fiume, stanno avendo grande attenzione nella politica di coesione e negli strumenti di programmazione nazionali 2021-2027.

I Contratti di Fiume hanno infatti trovato recentemente spazio all’interno di Accordo di Partenariato (AdP), approvato con la Decisione di Esecuzione della Commissione, C(2022) 4787, del 15.7.2022, a seguito del negoziato formale avviato il 17 gennaio 2022 dal Dipartimento per le Politiche di Coesione della PCdM, con la seguente dizione: «Considerando che gli obiettivi del Green Deal europeo possono essere conseguiti solo senza lasciare indietro nessuno e in modo equo ed inclusivo, si sosterranno le persone e le comunità più vulnerabili ed esposte agli effetti sociali ed economici della transizione. Saranno valorizzate, inoltre, le iniziative progettuali di tutela ambientale fondate su strumenti partecipativi (ad es. i Contratti di Fiume o altri strumenti volontari) in quanto in grado di responsabilizzare operatori e comunità locali nella corretta gestione delle risorse naturali».

I CdF sono ricompresi in più punti nel rinnovato testo della SNSvS 2022, di prossima approvazione, in quanto utili strumenti di attuazione per l’approccio integrato ai territori, considerato che obiettivo del prossimo triennio di attuazione della SNSvS sarà̀ proprio la definizione di agende territoriali per lo sviluppo sostenibile, a partire dall’enorme lavoro svolto da Regioni e Città Metropolitane. Discorso analogo riguarda anche la bozza di Piano Strategico Nazionale (PSN) della PAC 2023-2027 nel quale i CdF sono più volte richiamati e le fasi preparatorie del Piano di Transizione Ecologica (PTE) e della Strategia Nazionale per la Biodiversità 2030 del MiTE durante le quali l’inserimento dei CdF è in discussione. Sono inoltre richiamati nella Strategia Nazionale di adattamento ai Cambiamenti Climatici, che con riguardo alle azioni settoriali proposte relativamente alle risorse idriche menziona espressamente «di favorire forme partecipative per la gestione delle risorse includendo anche I “Contratti di Fiume”, “Contratti di lago” e “Contratti di falda”.

Nel D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con L. 29 luglio 2021, n. 108, l’art. 36-ter, comma 9, in tema di “Misure di semplificazione e accelerazione per il contrasto del dissesto idrogeologico” prevede che l’Autorità competente «(…) anche attraverso i Contratti di Fiume, in collaborazione con le autorità di distretto e le amministrazioni comunali territorialmente competenti, può attuare, nel limite delle risorse allo scopo destinate, interventi di manutenzione idraulica sostenibile e periodica dei bacini e sottobacini idrografici che mirino al mantenimento delle caratteristiche naturali dell’alveo, alla corretta manutenzione delle foci e della sezione fluviale anche al fine di ripristinare, in tratti di particolare pericolosità per abitati e infrastrutture, adeguate sezioni idrauliche per il deflusso delle acque».

2. Stato di attuazione dei Contratti di Fiume in Italia

Lo studio e l’analisi comparativa dei Contratti di Fiume sottoscritti sino ad oggi in Italia e dei riferimenti normativi e di indirizzo ivi rinvenuti, a livello nazionale, ha consentito di costruire un quadro teorico di riferimento dello strumento Contratto di Fiume e della sua natura giuridica, con la predisposizione del quadro sinottico sottostante dei risultati della ricerca. L’obiettivo di tale indagine comparativa è il riconoscimento dei Contratti di Fiume come processi decisionali partecipati e non meramente consultivi, considerata la loro valenza programmatica e negoziale di tipo contrattuale-volontario su descritta tra diversi soggetti pubblici e privati.

È stata evidenziata la data di sottoscrizione perché possiamo parlare di una prima generazione di CdF a partire dal 2003 (Regione Lombardia e Piemonte) ed una seconda. Lo spartiacque è segnato dal citato documento sulle «Definizioni e requisiti qualitativi di base dei contratti di fiume» del 12 marzo 2015, in cui sono stati delineati i principi, le fasi di attuazione e gli obiettivi propri di un CdF, che evidentemente segna l’acquisizione di una maggiore consapevolezza dei territori anche con riguardo alle varie fasi e componenti del processo e ne declina la sua articolazione.

La prima rilevazione statistica dei CdF in Italia è stata presentata dal Tavolo Nazionale dei Contratti di Fiume nel novembre 2012. In tale data venivano rilevate 67 esperienze di CdF, di cui 10 annunciati, 51 attivati (29 con processo partecipato in essere) e 6 sottoscritte, interessando 16 diverse Regioni e Province Autonome.

Il TNCdF attraverso un’indagine desk ed il contributo dei referenti regionali di cui si compone, ha realizzato un aggiornamento dei dati in suo possesso (dati attualmente in fase di validazione), rilevando, a tutto ottobre 2022, una crescita significativa nel numero dei processi di CdF in Italia, pari complessivamente a circa 210 (dai 67 rilevati al 2012), tra i quali, in base alle varie fasi che compongono un CdF[13], ne risultano 60 giunti alla sottoscrizione dell’atto d’impegno. Nella maggior parte dei casi gli atti d’impegno esaminati hanno assunto la forma dell’Accordo di Programmazione Negoziata (APN), ai sensi della L. n. 662/96[14].

L’Osservatorio Nazionale dei Contratti di Fiume  (ONCdF) presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (già Ministero della transizione Ecologica), quale struttura centrale di riferimento, con funzioni anche di indirizzo e orientamento strategico, in sinergia con il Tavolo Nazionale dei CdF, ha in corso di realizzazione un monitoraggio sui CdF e sulle azioni attuate attraverso i loro Programmi d’Azione, che confluiranno nella Piattaforma Nazionale dei Contratti di Fiume (PNCdF),  strumento operativo che sarà messo a disposizione di tutta la comunità nazionale entro il 2023.

Dai primi dati presentati dall’ONCdF emerge che ad oggi circa 100 processi di Contratti di Fiume sono stati finanziati dalle Regioni, per un totale di circa 5 milioni di Euro nel periodo 2006-2021, attraverso assegnamenti diretti o bandi. Almeno una decina di CdF hanno potuto usufruire di finanziamenti europei diretti (Progetti LIFE) o di fondi indiretti, sia per la componente di cooperazione (Interreg) sia per la componente dei finanziamenti attraverso programmi operativi regionali.

A seguire la tabella di sintesi evidenzia i CdF ad oggi sottoscritti (Ottobre2022).

N.CONTRATTI SOTTOSCRITTIREGIONEANNO DI SOTTOSCRIZIONETIPOLOGIA DEGLI ATTI DI IMPEGNO
1CdF AddaLOMBARDIA2019Accordo Quadro di Programmazione Negoziata ai sensi dell’art. 2, comma 203 lettera a) della legge 662/96
2CdF AgognaPIEMONTE2015Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 lettera a) della legge 662/96
3CdF AnieneLAZIO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
4CdL AviglianaPIEMONTE2017Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 lettera a) della legge 662/96
5Contratto di Costa Agro PontinoLAZIO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
6CdF BardelloLOMBARDIA2019Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 lettera a) della legge 662/96
7CdL BraccianoLAZIO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
8CdF BelboPIEMONTE2010Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 lettera a) della legge 662/96 e art. 10 NTA del PTA della Regione Piemonte
9Contratto Laguna del CalichSARDEGNA2019Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 lettera a) della legge 662/96
10CdF Canale Maestro ChianaTOSCANA2017Patto volontario (L.R. Toscana 46/2013 Legge Partecipazione)
11Contratto di area umida CaorleVENETO2019Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, lettera a) della Legge 662/96
12CdF Lambro SettentrionaleLOMBARDIA2012Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) ex L.R. Lombardia n. 2/03
13CdL MassaciuccoliTOSCANA2019Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 Legge 662/96
14CdF MarecchiaEMILIA ROMAGNA2016Accordo ex art. 15 Legge 241/90
15CdF MarzenegoVENETO2015Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 Legge 662/96
16CdF Meolo-Vallio-MusestreVENETO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
17CdF MincioLOMBARDIA-VENETO2016Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 Legge 662/96
18CdF Olona- Bozzente-Lura-Lambro MeridionaleLOMBARDIA2004Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) ex L.R. Lombardia n. 2/03
19CdF OrbaPIEMONTE2010Accordo di Programma
20CdF PagliaLAZIO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
21CdF PanaroEMILIA ROMAGNA2010Accordo volontario
22CdF Patto dei RiiEMILIA ROMAGNA2016Accordo ex art. 15 Legge 241/90
23CdF Torrente PellicePIEMONTE2020Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203 lettera a) della legge 662/96 e art. 10 NTA  del PTA della Regione Piemonte
24CdF PesaTOSCANA2019Patto costitutivo
25CdF PescaraABRUZZO Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
26CdL di VareseLOMBARDIA2019Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) ex L.R. Lombardia n. 2/03
27CdF di zona umida della riserva Sentina MARCHE/ ABRUZZO2021Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, lettera a), Legge 662/96
28CdF Canale RealePUGLIA2021Accordo ex art. 15 della Legge 241/90
29Rete di Riserve Alpi LedrensiPROVINCIA DI TRENTO2013Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
30Rete di Riserve “Alta Val di Cembra – Avisio”PROVINCIA DI TRENTO2011Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
31Rete di Riserve “Alto Noce”PROVINCIA DI TRENTO2015Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
32Rete di Riserve “Alto Sarca”PROVINCIA DI TRENTO2012Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
33Rete di Riserve “Basso Sarca”PROVINCIA DI TRENTO2012Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
34Rete di Riserve “Fiemme-Destra Avisio”PROVINCIA DI TRENTO2013Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
35Rete di Riserve “Fiume Brenta”PROVINCIA DI TRENTO2018Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
36Rete di Riserva Parco Naturale Locale Monte BaldoPROVINCIA DI TRENTO2018Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
37Rete di Riserva BondonePROVINCIA DI TRENTO2014Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
38Rete di Riserve “Val di Fassa – Cordanza per il Patrimonie naturèl de Fascia”PROVINCIA DI TRENTO2015Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
39Rete di Riserve “Valle del Chiese”PROVINCIA DI TRENTO2017Accordo di Programma (L.P. n.11/07)
40Contratto di Costa Riviera d’Ulisse e Foce del Fiume GariglianoLAZIO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
41CdF Sagittario Alta ValleABRUZZO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
42CdF SangonePIEMONTE2009Accordo di Programmazione negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, L. 662/96
43CdF SangroABRUZZO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
44CdF SerchioTOSCANA2015Protocollo d’Intesa
45CdF SerraTOSCANA2019Accordo di Programmazione negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, L. 662/96
46CdF SevesoLOMBARDIA2006Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) ex L.R. Lombardia n. 2/03
47CdF Tavo Fino SalineABRUZZO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
48CdF Basso TevereLAZIO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
49CdF Medio TevereLAZIO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
50CdF TordinoABRUZZO2014Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
51Contratto di Falda Alta Pianura VicentinaVENETO2015Accordo volontario
52CdL ViveronePIEMONTE2016Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
53CdF UfenteLAZIO2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
54CdF CecinaTOSCANA2022Accordo volontario
55CdF CorniaTOSCANA2022Accordo volontario ai sensi dell’art. 68bis del D.Lgs. 152/2006 e ss.mm.ii
56CdF media valle del PoEMILIA ROMAGNA2022Accordo volontario
57CdF FrigidoTOSCANA2022Accordo volontario
58CdF EsinoMARCHE2022Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
59CdF RoielloFRIULI VENEZIA GIULIA2022Accordo di Programmazione Strategico Negoziata ex art. 2, comma 203 lettera a) della legge 662/96
60Contratto delle zone umide marino-costiere’ dell’OristaneseSARDEGNA2021Accordo di Programmazione Negoziata (APN) ex art. 2, comma 203, Legge 662/96
CDF sottoscritti in Italia su base regionale

3. Green Community

La definizione di Green Community (GC), di provenienza anglosassone, rinvia a varie esperienze di comunità green con strutture istituzionali e non istituzionali, riconducibili alla multidimensionalità dello sviluppo sostenibile su base locale. Partiamo dal considerare l’importanza che hanno questi strumenti nel creare potenziali relazioni tra i territori della Green Community ed il loro territorio urbano e metropolitano di riferimento. E’ evidente la necessità di costruire una visione compensativa tra territori che hanno intensamente sfruttato le proprie risorse territoriali, quelli urbani e metropolitani, e territori, che per ragioni diverse, hanno conservato un patrimonio naturale consistente principalmente in acqua, biodiversità, ecosistemi e paesaggio.  Si tratta di una novità di rilievo, di forme di condivisione e di solidarietà sinora inedite.

Questi modelli possono afferire ad altri sistemi simili che negli anni si sono sviluppate nei territori, come ad esempio le Comunità energetiche, le Università agrarie, le Comunità dei Parchi, le Comunanze e le Partecipanze agrarie. Possiamo citare anche le esperienze di programmazione territoriale innovativa: contratti di fiume, di costa e di paesaggio; i Programmi d’Iniziativa Comunitaria Urban e Urbact; e le fondazioni tematiche e territoriali di promozione dello sviluppo locale (p.es.  il Distretto culturale della Valtellina o la Fondazione Pietro Manodori di Reggio Emilia). 

Va, infine, richiamata l’esperienza avuta con i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile – PAES e soprattutto l’esperienza delle Agende 21 locali, che sviluppano un ampio e inclusivo partenariato impegnato in tentativi di attuazione locale degli obiettivi del Protocollo di Kyoto[15]. La GC in questo senso, non è un progetto o un programma, ma una Strategia che a partire dalle aree montane impegna gli Enti e le comunità locali.

La Strategia delle Green Community è stata introdotta dall’art. 72 della L. 221/2015, legge 221/2015 (cosiddetto Collegato ambientale alla legge di stabilità 2016)

Nella creazione di una GC (comma 2) si considera proprio il rapporto tra la Green Community e il suo territorio urbano e metropolitano di riferimento. Si coglie in questo richiamo la possibilità di valorizzare quelli territori che hanno conservato un patrimonio naturale consistente principalmente in acqua, biodiversità, ecosistemi e paesaggio e intendono evidenziarne il valore di bene comune. Attraverso la strategia delle Green Community, non si tratta di “inventare” un nuovo piano distinto dagli altri strumenti di pianificazione e programmazione già esistenti, ma di privilegiare la dimensione strategica degli interventi  attraverso il coinvolgimento e la partecipazione di soggetti (pubblici, privati e del terzo settore, istituzionali e non istituzionali) presenti nel territorio di contesto, o nei contesti metropolitani correlati con i quali si vogliono costruire alleanze o patti per strategie comuni.

Le Green Community sono comunità locali, anche tra loro coordinate e/o associate, che intendono sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di cui dispongono, elaborando e realizzando piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista energetico, ambientale, economico e sociale.

Tali piani di sviluppo sostenibile devono includere in modo integrato:

  • la gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale;
  • la gestione integrata e certificata delle risorse idriche;
  • la produzione di energia da fonti rinnovabili locali, quali i microimpianti idroelettrici, le biomasse, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il biometano;
  • lo sviluppo di un turismo sostenibile;
  • la costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna;
  • l’efficienza energetica e l’integrazione intelligente degli impianti e delle reti;
  • lo sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production);
  • l’integrazione dei servizi di mobilità;
  • lo sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile.

Il PNRR a partire dai contenuti della Legge 221 del 2015, ne estende la portata potenziando le connessioni sussidiarie e lo scambio tra territori rurali e comunità urbane e metropolitane, le quali dovranno e potranno contribuire, attraverso diverse formule, allo sviluppo di quei territori destinati ad impoverirsi e spopolarsi e che da sempre forniscono una serie di servizi – servizi ecosistemici – necessari per la sopravvivenza ed il benessere delle città.

Attraverso la missione 2 del PNRR all’Investimento 3.2 viene posto l’obiettivo di agevolare la creazione e la crescita di 30 Green Community ossia 30 comunità locali, che vogliono realizzare insieme piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista energetico, ambientale, economico e sociale. Per tale investimento è previsto un costo totale di € 135 mln.

Una prima trance dei fondi PNRR[16] per l’implementazione della Strategia delle Green Community in Italia è stata destinata con DM 30 marzo 2022 a 3 iniziative pilota (€ 6.000.000 – € 2.000.000 per ciascuno dei 3 progetti di Green Community individuati): le Terre del Monviso, in Piemonte, la Montagna del Latte, in Emilia Romagna e il Parco regionale Sirente Velino, in Abruzzo. Detti pilota hanno costituito il modello per il successivo avviso pubblico[17] per la selezione di 30 Green Community, al quale sono stati presentati 179 progetti di cui 144 ammessi alla valutazione e 35 ammessi a finanziamento.[18]

L’assegnazione del finanziamento del PNRR relativo alla Missione 2, Componente 1, intervento 3.2 (Green Community) è stata eseguita con ripartizione regionale e provinciale sulla base di due grandezze di riferimento: la superficie rurale e la superficie montana. La scelta di queste due grandezze trova la sua giustificazione nella Strategia Nazionale delle Green Community illustrata nell’ art. 72, Legge 221/2015, attraverso la quale il legislatore ha inteso individuare nei territori rurali e di montagna le aree geografiche beneficiarie e protagoniste della strategia di cui sopra, a causa della situazione di svantaggio economico, sociale e ambientale di queste aree rispetto alle zone urbanizzate del Paese.

4. Stato di attuazione delle Green Community in Italia

Le Green Community finanziate attraverso il PNRR al 28/09/2022 risultano essere 35 alle quali si aggiungono le 3 pilota per un totale di 38, così suddivise in ambiti regionali:

Stato di attuazione delle Green Community in Italia

5. Comunità energetica rinnovabile

Una comunità energetica costituisce un’aggregazione di utenti finali di energia che ha lo scopo di generare benefici economici, ambientali e sociali ai membri e al territorio interessato, attraverso una produzione energetica decentrata, compiendo un primo passo verso quel nuovo scenario energetico immaginato nel 2007 dal Premio Nobel per la Pace Woodrow W. Clark: “la crescita economica, si deve appoggiare su una strategia di sviluppo basata sulla piccola produzione energetica distribuita che può garantire a tutti la possibilità di essere sia produttori sia fruitori. In questo senso, per essere attori di questo processo non servono grandi budget e bastano anche comunità relativamente piccole “.

Le comunità energetiche rappresentano un vantaggio perché permettono la produzione di energia dove viene utilizzata, riducendo costi, dissipazione e sprechi. Una Comunità Energetica Rinnovabile (CER): si basa sul principio di autonomia tra i membri e sulla necessità che si trovino in prossimità degli impianti di generazione. Questa comunità può gestire l’energia in diverse forme (elettricità, calore, gas) a patto che siano generate da una fonte rinnovabile[19]. In Italia l’esperienza delle Società elettriche cooperative, organizzate “per portare luce e progresso” alle comunità locali, nasce in realtà a fine ‘800 attraverso la produzione e distribuzione di energia idroelettrica. Scopo di queste cooperative era quello di associare il bene comune e lo sviluppo sociale ed economico del territorio alla salvaguardia delle risorse naturali, in un’azione di tutela degli interessi della popolazione e delle imprese locali. In queste forme cooperative diffuse in particolare nel nord Italia, si possono certamente ritrovare importanti riferimenti storici per l’attuale configurazione delle Comunità Energetiche Rinnovabili. Un’iniziativa interessante di cooperativa energetica formatasi in Europa in tempi più recenti è in Belgio, quella di Ecopower, un’iniziativa avviata nelle province di Anversa e delle Fiandre orientali nel 1992 su iniziativa di un piccolo gruppo di cittadini per finanziare la ristrutturazione di un impianto idroelettrico locale. Nel 2001-2002 Ecopower realizza 3 turbine eoliche aumentando la sua base di soci a 1200 membri. Un anno dopo, grazie alla liberalizzazione del mercato, diventa fornitore di elettricità verde. Ecopower è oggi attiva a livello nazionale in Belgio e fornisce elettricità verde alla regione fiamminga e ha impianti di produzione di energia rinnovabile in tutto il Belgio. Al momento conta più di 60.000 membri. Più in dettaglio, gestisce 20 turbine eoliche (43 MW) e 340 impianti solari (270 residenziali <10kWp; 70 >10 kWp; 7 MW), 3 piccoli impianti idroelettrici (100 kW) e 1 fabbrica di pellet ecologico e tronchetti di legno (24000 tonnellate per il riscaldamento domestico).

Tra gli anni ’90 e il 2000 in tutta Europa, si sono viste nascere e consolidarsi molte iniziative di azione collettiva (cooperative, gruppi di acquisto, eco-villaggi, ecc.) con caratteristiche in parte simili a quelle riportate, ossia con un coinvolgimento diretto della cittadinanza in progetti di sviluppo di fonti rinnovabili sul territorio. Secondo un recente report, basato su un ampio censimento a livello europeo sviluppato all’interno del progetto COMETS[20], i progetti in questo ambito già nel 2021 erano circa 8000 concentrati nel centro nord Europa, dove le condizioni istituzionali, di mercato e, non ultime, culturali giocavano in favore di una proliferazione anticipata di queste iniziative, in varia misura bottom-up, rispetto al resto d’Europea.[21]

La Commissione Europea[22] stima che al 2021 in Europa 2 milioni di cittadini, facessero parte delle 7mila comunità energetiche, riuniti in associazioni – tra singoli, attività commerciali, imprese, pubblica amministrazione – per dotarsi di impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia proveniente da fonti rinnovabili. Numerosi progetti di ricerca sono stati finanziati dalla UE per supportare le CER, tra questi nel 2018 è stato attivato il progetto COME RES[23] finanziato dal programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020 con l’obiettivo di facilitare la diffusione sul mercato delle tecnologie energetiche basate su fonti rinnovabili attraverso la costituzione delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER). A tal fine COME RES ha intrapreso attività specifiche di supporto per l’attuazione e il recepimento delle disposizioni UE e la costituzione di Desk Nazionali, multi-stakeholders per il supporto alla diffusione delle CER nei nove paesi partner: Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio, Lettonia, Polonia, Norvegia.

L’introduzione normativa delle CER avviene con la  Direttiva europea Red II (2018/2001/Ue)[24] che oltre a definire chi sono gli autoconsumatori di energia rinnovabile e chi gli autoconsumatori che agiscono collettivamente, stabilisce che la “comunità di energia rinnovabile” (CER) è quel soggetto giuridico che: si basa sulla partecipazione aperta e volontaria, è autonoma ed è controllata da azionisti o membri, che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili che appartengono e sono sviluppati dal soggetto giuridico in questione. I cosiddetti azionisti o membri sono persone fisiche, Pmi o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali. Il recepimento della Direttiva Red II, all’interno dell’ordinamento nazionale, è avvenuto solo due anni dopo la sua emanazione con il con il Dlgs 8 novembre 2021, n. 199.

Già a partire dal decreto Milleproroghe venne prevista in Italia una tariffa incentivante per la remunerazione degli impianti a fonti rinnovabili, sia inseriti nei sistemi di autoconsumo collettivo che realizzati all’interno di comunità energetiche. In seguito, Il Dl 34/2020 (decreto Rilancio) ha poi riconosciuto anche alle comunità energetiche l’accesso al Superbonus 110% destinato alla riqualificazione energetica degli edifici, ma mantenendo solo il ritiro dedicato e la restituzione degli oneri di trasmissione e dispacciamento per l’energia autoconsumata collettivamente. Lo stesso decreto ha anche stabilito l’estensione da 20 a 200 kW della detrazione fiscale del 50% per gli impianti a fonti rinnovabili realizzati da parte di soggetti che aderiscono alle comunità energetiche.

Lo stesso decreto ha anche stabilito l’estensione da 20 a 200 kW della detrazione fiscale del 50% per gli impianti a fonti rinnovabili realizzati da parte di soggetti che aderiscono alle comunità energetiche. il Dlgs 8 novembre 2021, n. 199 entrato in vigore il 15 dicembre 2021, ha previsto di completare la normativa e quindi consentire lo sviluppo delle comunità energetiche su larga scala. In particolare, introducendo 2 elementi principali che consentono questo passo: aumento del limite di potenza degli impianti ammessi ai meccanismi di incentivazione, che passa da 200 kW a 1 MW; rimozione del limite della cabina secondaria, che permette la costituzione di CER con membri connessi alla cabina primaria.

Il decreto stabiliva,inoltre, che entro il 13 giugno 2022 si sarebbero dovuti aggiornare i meccanismi di incentivazione per gli impianti a fonti rinnovabili inseriti in configurazioni di autoconsumo collettivo o in comunità energetiche rinnovabili. ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) – con la delibera del 22 marzo 2022 – ha prolungato la scadenza per l’adozione dei provvedimenti necessari a garantire l’attuazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 199 che alla data attuale non sono ancora disponibili.

I Principali obiettivi di una CER possono essere sintetizzati come segue:

  • Riduzione dei costi legati alla bolletta elettrica – Il risparmio economico nel medio periodo libera risorse a bilancio, investibili sul patrimonio e sul territorio;
  • Valorizzazione dell’energia eccedente prodotta – è’ possibile valorizzare gli eventuali eccessi di produzione immettendoli in rete e accedendo agli incentivi previsti;
  • Riduzione dell’impatto ambientale – riduzione di CO2 e generazione e promozione di circoli virtuosi di consumo;
  • Risorse per progetti di valorizzazione del territorio – le risorse generate a livello di Comunità possono essere re-investite in progetti culturali, sociali (povertà energetica), di promozione e valorizzazione del territorio etc.

In termini generali la creazione di una CER consta di 5 fasi essenziali: Pianificazione – individuazione dell’area interessata dalla CER e dei possibili membri; Programmazione – definizione della governance, individuazione risorse; Progettazione – analisi dei consumi, progettazione impianti, Individuazione soggetto giuridico; Realizzazione – acquisizione autorizzazioni e Istallazione impianti, costituzione del soggetto giuridico, approvazione statuto; Gestione – accesso ai servizi, gestione amministrativa, accesso a detrazioni fiscali e incentivi, gestione impianti.

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, grazie all’utilizzo dei fondi europei di Next Generation EU, sono previsti 60 miliardi di investimenti destinati alla “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica“, di questi, 23,78 miliardi sono rivolti complessivamente alle energie rinnovabili e nello specifico 2,2 miliardi proprio per lo sviluppo delle Comunità Energetiche Rinnovabili. La misura volta all’istallazione di 2.000 MW di nuova capacità di generazione elettrica in configurazione distribuita da parte di CER, individua Pubbliche Amministrazioni, famiglie e microimprese in Comuni con meno di 5.000 abitanti, sostenendo così l’economia dei piccoli Comuni, spesso a rischio di spopolamento, e rafforzando la coesione sociale”.

Le CER sono presenti anche nella politica di coesione e nell’accordo di Partenariato dove è indicata la necessità della “[…] creazione di Comunità energetiche, per i benefici ambientali, economici e sociali attesi a livello locale. Per l’efficienza energetica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili priorità è data agli interventi realizzati tramite partenariati pubblico privati, contratti di rendimento energetico che coinvolgano ESCO e/o utilizzando strumenti finanziari”[25].

Stato di attuazione delle Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia

Nella diffusione delle Comunità Energetiche Rinnovabili le regioni hanno un ruolo fondamentale al fine di portare la normazione alla scala dei singoli territori.

Allo stato attuale 13 regioni hanno già legiferato sulla materia

RegioneRiferimenti normativi
Abruzzolegge regionale 17 maggio 2022, n. 8
Calabrialegge regionale 10 novembre 2020, n. 25
Campanialegge regionale 29 dicembre 2020, n. 38
Emilia Romagnalegge regionale 27 maggio 2022, n. 5
Ligurialegge regionale 6 luglio 2020, n. 13
Marchelegge regionale 11 giugno 2021, n. 10
Piemontelegge regionale 3 agosto 2018, n. 12, Dgr 8 marzo 2019, n. 18-8520
Puglialegge regionale 9 agosto 2019, n. 45, Dgr Puglia 7 agosto 2020, n. 1346 Dgr 9 luglio 2020, n. 74
Venetolegge regionale 5 luglio 2022, n. 16
Lombardialegge regionale 23 febbraio 2022, n. 2
SiciliaAvviso pubblico per la costituzione delle Comunità di Energie Rinnovabili e Solidali
Valle D’AostaInformazioni generali regionali; Disegno di Legge 74/XVI Sardegna – Deliberazione n. 6/20 del 25.02.2022

Secondo il Renewable energy report 2022[26] del Politecnico di Milano presentato il 17 maggio 2022, al momento si contano 26 comunità attive in Italia, tutte basate su impianti fotovoltaici con potenza media tra i 15 e i 40 kW.

Allo stesso tempo, il GSE ha finora ricevuto 37 istanze di accesso agli incentivi (dati aggiornati al 2 maggio), di cui 13 Comunità Energetiche Rinnovabili e 24 Gruppi di Autoconsumatori.

Più di metà delle istanze arrivano da Lombardia, Piemonte e Veneto[27]:

  • Veneto 8 iniziative
  • Piemonte 7 iniziative
  • Lombardia 6 iniziative
  • Trentino Alto Adige 5 iniziative
  • Friuli Venezia Giulia 2 iniziative
  • Emilia Romagna 2 iniziativa
  • Abruzzo 2 iniziative
  • Campania 1 iniziativa
  • Lazio 1 iniziativa
  • Sicilia 1 iniziativa
  • Marche 1 iniziativa
  • Toscana 1 iniziativa

A fronte di uno scenario, in continua evoluzione, Legambiente ha mappato la progressiva crescita di interesse verso le CER individuandone circa 100 tra avviate e in fase di costituzione di cui 59 censite solo tra giugno 2021 e maggio 2022[28].


[1] Il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, apportando significative innovazioni al diritto primario UE.

[2] Comitato europeo delle regioni (CdR) Risoluzione del luglio 2020

[3] La politica di coesione gestisce: fondi FESR (Fondo europeo per lo sviluppo regionale), FSE+ (Fondo sociale europeo plus), Fondo di coesione, JTF (Just transition fund) e FEAMPA (Fondo Europeo per gli Affari Marittimi, la Pesca e l’Acquacoltura).

[4] L’Accordo di Partenariato è un documento, predisposto da ogni Stato membro ed approvato dalla Commissione Europea, che “definisce la strategia e le priorità di tale Stato membro nonché le modalità di impiego efficace ed efficiente dei Fondi strutturali e di investimento.

[5] Michele Talia (a cura di, 2020) Atti della Conferenza internazionale UrbanPromo XVII Edizione

[6] Guide methodologique relatif au contrat de riviere, rédigé dans le cadre d’une convention associant le Ministère de la Région wallonne et la Fondation Universitaire Luxembourgeoise, octobre 2001.

[7] Da un punto di vista giuridico, il «Contratto di Fiume» non è riconducibile ai contratti di diritto comune tout court, fonte di rapporti giuridici patrimoniali ex art. 1321 c.c., ma piuttosto a quella degli Accordi sostitutivi di provvedimenti ex art. 11, L. 241/90.  In quanto «contratto», tuttavia, è un accordo volontario tra attori pubblici, e spesso anche semipubblici o privati, che dichiarano di volere perseguire un progetto comune (Bobbio, 2006) impegnandosi, ciascuno nel proprio quadro di responsabilità su obiettivi mirati a conciliare gli usi e le funzioni molteplici dei corsi d’acqua, dei loro ambiti e più in generale delle risorse idriche di un intero bacino idrografico quale bene collettivo.

[8] Cfr. Ricciuto e Nervi, Il Contratto della Pubblica Amministrazione, in Trattato di Diritto Civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingeri, Napoli, 2009, pp. 28 e 63; V. Savoia, “Strumenti di programmazione negoziata: gli accordi di programma come strumento di finanziamento per gli interventi di bonifica”, in Riv. Giur. AmbienteDiritto.it (Legislazione e Giurisprudenza), anno 2006

[9] Cfr. Moramarco , in Nuove Leggi Civ. Comm., 2017, 5, 910 (Commento alla normativa), cit.

[10] Definizione data dal 2º World Water Forum, Forum mondiale sull’acqua tenutosi a L’Aia dal 17 al 22 marzo 2000, che ha generato un ampio dibattito sulla visione mondiale dell’acqua e sul quadro d’azione associato, che si occupa dello stato e della proprietà delle risorse idriche, del loro potenziale di sviluppo, della gestione e modelli di finanziamento e il loro impatto sulla povertà, sullo sviluppo sociale, culturale ed economico e sull’ambiente.

[11] M. Bastiani, Dalla valorizzazione degli ambiti fluviali ai Contratti di fiume, in Contratti di fiume – pianificazione strategica e partecipata dei bacini idrografici. Approcci – esperienze – casi studio (a cura di M. Bastiani) Flaccovio editore, Palermo 2011

[12] Cfr. http://www.a21italy.it/wp-content/uploads/2014/06/CDF_Definizione-e-Requisiti-di-Base.pdf: «Documento «Definizioni e Requisiti Qualitativi di Base dei Contratti di Fiume» del Gruppo di Lavoro 1 del TNCdF sul Riconoscimento dei CdF a scala nazionale e regionale e definizione di criteri di qualità DOC1 – 12 marzo 2015, redatto insieme a MATTM (oggi MiTE) e ISPRA,

[13] Cfr. «Documento «Definizioni e Requisiti Qualitativi di Base dei Contratti di Fiume» cit, che al punto 2) Requisiti di impostazione individua le seguenti fasi: 1. Condivisione di un Documento d’intenti; 2. Analisi conoscitiva preliminare integrata sugli aspetti ambientali, sociali ed economici del territorio oggetto del CdF; 3. Elaborazione di un Documento strategico che definisca lo scenario; 4. Definizione di un Programma d’Azione (PA) con un orizzonte temporale ben definito e limitato (indicativamente di tre anni).

[14] La Legge 23 dicembre 1996, n. 662 ha fornito una disciplina organica degli istituti della concertazione, sia fra soggetti pubblici che tra la P.A. e le imprese, tra cui appunto la Programmazione negoziata (APN): regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private per l’attuazione di interventi diversi riferiti ad un’unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza (art.2, comma 203, lett. a), L. 662/96). L’art. 2, comma 203, citato propone un «sistema di programmazioni a cascata», con le intese istituzionali di programma che preparano gli accordi di programma quadro che, a loro volta, saranno attuati dagli accordi di programma «tout court». In posizione isolata è stata posta la «programmazione negoziata» che più che porsi al vertice del sistema della programmazione sembra, piuttosto, ricomprendere in sé tutti i modelli citati. Essa non è considerata un modello autonomo ma ad essa sono ricondotti tutti i modelli di concertazione programmata. Prima dell’emanazione della L.662/96, diverse figure di accordi sono state introdotte dalla legge generale sul procedimento amministrativo, la L.241/90 e, prima ancora, dalla legge sulle autonomie locali, la L.142/90 (ora abrogata e sostituita dal T.U. sugli enti locali, L.267/2000), che hanno generalizzato l’uso dello strumento dell’accordo di programma.

[15] Consultazione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie per la predisposizione della Strategia nazionale delle green community. Documento a cura dell’Università degli Studi Roma Tre Proff. Marco Alberto Bologna, Claudio Faccenna, Laura Farroni, Andrea Filpa, Aldo Fiori, Guido Giordano, Simone Ombuen, Carlo Alberto Pratesi, Giovanna Spadafora, 19 marzo 2017

[16] PNRR M2C1 Inv. 3.2 Green Community, DM 30 marzo 2022 “Green Community Pilota”

[17] Avviso pubblico per la presentazione di Proposte di intervento per la realizzazione di piani di sviluppo di Green Community da finanziare nell’ambito del PNRR, Missione 2 – Rivoluzione verde e Transizione ecologica, Componente 1 – Economia circolare e agricoltura sostenibile (M2C1), Investimento 3.2 Green Community, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU

[18] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie, graduatoria di merito complessiva delle proposte ammesse a valutazione e a finanziamento relative all’Avviso pubblico per la presentazione di Proposte di intervento per la realizzazione di piani di sviluppo di Green Communities. Allagati A e B (Settembre 2022) https://www.affariregionali.it/comunicazione/notizie/2022/settembre/avviso-pubblico-green-communities-pubblicata-la-graduatoria/

[19] ENEA La Comunità Energetica, Vademecum 2021

[20] Project COMETS, Collective action Models for Energy Transition and Social Innovationhttp://www.comets-project.eu/

[21] Schwanitz et al (2021) “The contribution of collective prosumers to the energy transition in Europe – Preliminary estimates at European and country-level from the COMETS inventory”. (https://osf.io/preprints/socarxiv/2ymuh/) Questo report ha contribuito all’edizione 2021 del “Report from the commission to the european parliament and the council on progress of clean energy competitiveness” (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021DC0952&from=EN)

[22] Euroepean Union, Sixth report on the state of the energy union, report, published on 26 October 2021

[23] COME RES – Community Energy for the uptake of renewables in the electricity sector. Connecting long-term visions with short-term actions – is a project under the EU’s Horizon2020 programme, aimed at facilitating the market uptake of renewable energy sources (RES) in the electricity sector. Specifically, the project focusses on advancing renewable energy communities (RECs) as per the EU’s recast Renewable Energy Directive. COME RES takes a multi- and transdisciplinary approach to support the development of RECs in nine European countries; Belgium, Germany, Italy Latvia, the Netherlands, Norway, Poland, Portugal and Spain. The Freie Universität Berlin is coordinator of the project. https://come-res.eu/

[24] Direttiva EU 2018/2001 (RED II): definizione degli obiettivi al 2030 di produzione di energia da fonti rinnovabili e segue gli impegni di riduzione del 40% rispetto al 1990 delle emissioni climalteranti. Aumento del 32% della quota di produzione energetica da fonti rinnovabili in tutta Europa; +1,5%/anno quota di uso di energie rinnovabili per riscaldamento/raffrescamento; aumento del 14% quota di utilizzo di fonti rinnovabili per i trasporti. Inoltre tende a favorire interventi per l’aumento dell’autoconsumo e dell’autosufficienza energetica (Art. 21: «Autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente»; Art 22: «Comunità energetiche rinnovabili»).

[25] Accordo di Partenariato, PdCM, Programmazione della politica di coesione 2021 – 2027 (19 luglio 2022)

[26] Politecnico di Milano, Renewable energy report 2022, https://www.energystrategy.it/es-download/

[27] Dati GSE maggio 2022

[28] Legambiente, Comunità Rinnovabili 2022